martedì 23 ottobre 2012
Sull’affetto al peccato
Nell’affetto al peccato c’è l’assenza di Dio
giacché esso è, per sua propria natura, instillatore di progressiva morte
spirituale della quale, il più delle volte, non ci si rende conto.
L’affetto è un sentimento agente molto
silenzioso che inizia come tendenza indirizzata verso un’ aspirazione, un piacere, un desiderio,
un sogno o ideale ed in seguito, se positivo, si tramuta in azione
santificatrice. All’inverso, quando l’affetto è negativo, ovvero indirizzato
verso pulsioni degenerative, anche solo potenzialmente, produce e conduce, poco
a poco, goccia dopo goccia alla morte dell’anima e alla sua caduta all’inferno.
Il motivo risiede nel fatto che l’attaccamento residuale allo stato di peccato
pregresso, innestato nella nuova vita di fede, frutto di conversione, genera lo
stesso effetto del fungo attaccato alla buona pianta: se non è estirpato alla radice
e subitaneamente, assorbe tutta la linfa vitale. Infatti, l’affetto al peccato,
sia esso veniale ed ancor più a quello mortale, è germe di consensi
carnali ed atti illeciti. Si badi che nella carne v’è innestata anche la mente
e dunque qui non si parla solo di impulsi istintuali, ma anche di psiche e
delle cattive cognizioni. È possibile, difatti, mal-pensare e ben-pensare
ed il discrimine non è certo la conoscenza acquisita. Essa potrà essere al più
un elemento su cui poggia il cuore, che se reso spirituale per mezzo della preghiera e le opere di penitenza che la Chiesa ci indica, fa del corpo un succube delle istanze dell'anima, generando per essa salute e conforto.
Dirà, al rigurdo, San
Maccario il Giovane: “Lasciatemi (…),
ch’io tormenti colui che mi tormenta".
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